Tra le forme di violenza l’abuso sessuale è la forma più grave e più dannosa per la salute psichica a breve e a lungo termine. Si delineano delle effetti devastanti conseguenti all’abuso sessuale specialmente se questo è avvenuto durante l’infanzia e l’adolescenza, in un’età quindi di sviluppo della persona.
In genere, nella pratica clinica, incontro pazienti che nel tempo sono arrivati ad una sorta di compromesso, per cui dentro di loro accettano la realtà dell’abuso e continuano a vivere come se niente fosse accaduto. Ma quell’esperienza è accaduta e rimane indelebile nella mente. Si continua a vivere anche senza sentirsi “vivere”. S’impara a convivere con il proprio segreto mentre questo alberga nei pensieri, nei ricordi, e domina tutto ciò che rimanda all’abuso: le relazioni con l’altro sesso, il confronto con gli altri, le relazioni intime e affettive, il contatto con sé stessi e la propria immagine.
La persona che ha subito un abuso convive con una miriade di emozioni: una profonda rabbia repressa e anestetizzata, la vergogna per quel corpo usato e maltrattato, i sensi di colpa per non essere stata in grado di difendersi, di fuggire, di ribellarsi, di vendicarsi. La persona abusata spesso coltiva pensieri aberranti: “se è successo a me forse me lo meritavo – forse, inconsapevolmente l’ho provocato/a – ero un bambino/a ma con un corpo da adulto/a – è possibile che mi piacesse?”. Pensieri che cercano una logica dove la logica non c’è, non esiste.
Si è vittima e da vittima si continua a vivere. Vittima di un mondo che è stato crudele e che si mostra nel tempo sempre tale. Vittima di qualcuno che “ … mi ha rubato l’anima …”, qualcuno di cui ci si fidava, qualcuno che avrebbe dovuto dare protezione. Oppure vittima di un estraneo e intorno solo omertà, silenzio, vergogna, negazione.
L’abuso è tra i traumi più difficili da elaborare proprio perché la vittima si rifiuta di “metterci le mani” ma quando cerca aiuto significa che ha vinto la prima battaglia: quella contro sé stessi e con il proprio senso di impotenza.
A questo punto, molte donne scelgono il compromesso. Da qualche parte dentro di loro accettano la realtà dell’abuso, mentre all’esterno continuano a vivere ed agire come se tutto ciò non esistesse. Le memorie sono troppo sottili, troppo vaga la loro origine. Sfortunatamente, una guarigione autentica avviene molto di rado in questo modo, perché la donna è in conflitto con la sua realtà interiore e solitamente non sviluppa una modalità di relazione autentica con essa. In modo intuitivo, mole donne sentono che il cammino del confronto con l’esterno – con la famiglia o il supposto responsabile – non sarà utile, mancando così di cogliere il nocciolo del problema.
L’abuso sessuale nel bambino
L’abuso sessuale di per sé implica violenza psicologica, anche quando quest’ultima non si esprime nelle forme della denigrazione verbale o della svalutazione esplicita e si associa anche a quella mancanza di protezione e di tutela da parte del genitore non direttamente abusante e violento, definita trascuratezza psicologica. Le aree di disturbo sono molte. Una differenza sostanziale rispetto alle altre forme di violenza è costituita da quell’insieme di problemi che attengono l’area del comportamento sessualizzato. Atteggiamenti e conoscenze sessuali impropri del bambino sono possibili indicatori di esperienze sessuali. Inoltre, sono molto più frequenti sintomi post traumatici da stress, segnalati da paura, ansia, problemi di attenzione e concentrazione. Appare anche ridotta la socialità, con tendenza all’isolamento e scarse relazioni tra pari, e sono consistenti i comportamenti instabili, i tentativi di fuga, la mancanza di fiducia negli adulti e una percezione di sé come diversi.
La sfiducia, il senso di impotenza, l’emergere di sentimenti di vergogna e di colpa, e un insieme di sintomi depressivi e autolesionisti determinano uno squilibrio delle funzioni cognitive nel bambino che appaiono disomogenee e oscillanti. Il decorso di questi sintomi non può essere slegato dal modo in cui si sviluppano e si orientano certe condizioni ambientali, quali ad esempio la presenza o meno di un adulto protettivo e il grado di esposizione sociale della vittima.
Purtroppo, è proprio nell’ambiente familiare in cui i bambini vivono che, molto spesso, si aggravano o si moltiplicano i maltrattamenti e gli abusi nel tempo. La durata della violenza, nella gran parte dei casi, è tale da configurarsi non tanto in chiave di comportamenti sporadici, ma piuttosto come vere e proprie relazioni stabili e durature, che contrassegnano l’esistenza dei bambini per anni e, soprattutto, negli anni più importanti e formativi. L’esperienza maltrattante o abusante diventa allora una caratteristica intrinseca delle relazioni, che ne normalizza e regolarizza la qualità secondo standard non soggetti a confronti o comparazioni che potrebbero metterne in evidenza la peculiare nocività.