Relazioni di attaccamento

E’ ormai risaputo che le esperienze precoci infantili e la relazione con le nostre figure genitoriali hanno un’ importanza fondamentale nella costruzione della nostra identità, del nostro sé, sul modo con il quale reagiamo ed agiamo con gli altri e sull’idea che abbiamo di noi stessi e degli altri. Vediamo come:

Fin dalla nascita all’interno dell’individuo è presente un sistema motivazionale innato chiamato “sistema dell’attaccamento”, il quale ha lo scopo di mantenere la vicinanza alla persona che si prende cura di noi soprattutto quando la persona è spaventata, affaticata o malata e si attenua quando si ricevono conforto e cure. Senza di questo non ci sarebbe vita: immaginate il neonato. Potrebbe sopravvivere senza l’adulto che rivolge a lui cura e protezione?

Nella specie umana la tendenza a formare legami affettivi molto stretti con i figli ed a prendersene cura finchè essi non diventano autonomi è il frutto della selezione naturale. Questa ha operato affinchè si mantenesse la tendenza degli individui a mettere in atto comportamenti che contribuissero sia alla sopravvivenza della specie ma anche alla riproduzione e al successo riproduttivo. Noi siamo programmati in maniera tale da avere come fine ultimo della nostra esistenza lasciare in quanti più individui possibile le nostre caratteristiche, il colore dei capelli, la forma degli occhi, l’ovale del viso. Pensate ad esempio a come mamma e papà si sforzino di cercare le proprie somiglianze nel nascituro. Quanti di voi padri, guardando il proprio figlio, esclama orgoglioso “è tutto suo padre … assomiglia tutto a me!”. Per non parlare della corsa dei parenti, quando nasce un bambino, alla ricerca di somiglianze con nonni, cugini, zii della loro generazione (Attili, 2004).

Quindi senza una figura di accudimento l’essere umano avrebbe vita breve. L’attaccamento, come sosteneva il fondatore della Teoria dell’Attaccamento Johne Bowlby, è parte integrante del comportamento umano dalla “culla alla tomba”, ed opera affinchè la figura di attaccamento sia prontamente attenta alle cure ed ai bisogni del piccolo, non solo di “fame” “sete” o “sonno”, ma anche d’amore: Le coccole, i giochi, le intimità del poppare attraverso le quali il bambino impara la piacevolezza del corpo di sua madre, i rituali dell’essere lavati e vestiti con i quali il bambino impara il valore di se stesso, attraverso l’orgoglio e la tenerezza della madre verso le sue piccole membra, queste sono le cose che mancano” (Bowlby).

Bowlby insieme a Mary Ainsworth, anch’ella psicanalista e sua collaboratrice, dimostrarono come lo sviluppo armonioso della personalità di un individuo dipenda principalmente da un adeguato attaccamento alla figura materna o un suo sostituto.

L’attaccamento ad una figura accudente non si sviluppa in base alla qualità del legale in quanto il bambino “sceglie” come figura di attaccamento quella che offre cure continuative e costanti qualunque sia la qualità di tali cure. La qualità dell’accudimento e dell’interazione avranno invece un ruolo fondamentale nel determinare lo sviluppo della personalità dell’adulto.

Vediamo insieme come Mary Ainsworth classificò i diversi tipi di attaccamento tra madre e bambino attraverso quella che venne definita come “Strage Situation” e cioè una situazione sperimentale dove il bambino (di circa 1 anno di età quando cioè il legame di attaccamento si è ben strutturato) veniva sottoposto a situazioni potenzialmente generatrici di “stress relazionale” di separazione momentanea dalla madre con e senza la presenza di un estraneo.

Attaccamento sicuro (B):

Il bambino che aveva esperito una madre “sensibile”, capace cioè di riconoscere gli stimoli di aiuto e di stress del piccolo, e “responsiva” e quindi pronta ad accorrere in risposta a essi, accettava l’incontro con l’estraneo, giocava quando c’era la madre, quando poi si allontanava, mostrava sconforto ma sapeva ben presto riorganizzarsi emotivamente e riprendere a giocare. Una volta che la madre si riavvicinava il bambino comunicava lo stress per essere stato lasciato da solo ma accettava il conforto trasmesso e ricominciava a giocare. La madre quindi risultava essere per il bambino “base sicura”.

Attaccamento ambivalente (C):

Il bambino che aveva esperito una madre “ambivalente” quindi imprevedibile e insicura che a volte rispondeva prontamente ai segnali del bambino, altre volte invece rimaneva indifferente o ancora una madre che manifestava comportamenti affettuosi quando il bambino non lo richiedeva, non giocava né esplorava l’ambiente, né in presenza né in assenza della madre. Quando la madre si riavvicinava rifiutavano il contatto ed esprimevano lo sconforto con grande evidenza, piangendo inconsolabili e alcune volte menifestavano aggressività verso la madre che tentava di consolarlo (rabbia disfunzionale).

Attaccamento evitante (A):

Il bambino che aveva esperito una madre “rifiutante” che rifiutava sistematicamente i bisogni del bambino, che non utilizzava il contatto fisico quando il bambino stava male o che ridicolizzava o sminuiva le ansie del bambino o ancora che minacciava di rompere il legame se continuava a manifestare le sue paure, giocava sia in presenza della madre che con l’estraneo mostrando totale indifferenza sia all’allontanamento della madre che alla riunione.

Attaccamento disorganizzato (D):

Il bambino che aveva esperito una madre “maltrattante e/o violenta” o una madre che trascurava i suoi bisogni o incapace di offrire accudimento, si comportava con modalità sia evitanti che ambivalenti. Portava spesso la mano alla bocca, si copriva gli occhi, si buttava a terra o dondolava le ginocchia o ancora rimaneva immobilizzato (freezing) o ammutolito (stilling).

I bambini che ricevano quindi cure adeguate per sensibilità e disponibilità emotiva sviluppano un modello degli altri come affidabili e un modello di se stessi degni delle cure che vengono loro rivolte. I bambini invece che non ricevano cure adeguate, sviluppano sentimenti di rabbia e di angoscia nei confronti degli altri e sentimenti di insicurezza nei confronti di sé stessi. La qualità del legame di attaccamento con la propria figura di accudimento influenzerà quindi la persona che saremo da “adulti”. A partire dai primi modelli di interazione si costruiranno infatti i modelli operativi interni (MOI) ossia rappresentazioni interne di aspetti di sé, del proprio comportamento, dell’ambiente e della persona con cui si interagisce. Questi perdurano nel tempo e sono proprio questi che da adulti influenzeranno il nostro essere nel mondo, la visione che abbiamo di noi stessi, le relazioni con gli altri.

 

ATTACCAMENTO E PSICOPATOLOGIA


La variabilità dei modi attraverso i quali i genitori si prendono cura dei loro figli, danno luogo a veri e propri stili di attaccamento individuali. Questi stili, ove si siano esperite cure carenti e distorte, finiscono con il divenire progressivamente sempre più rigidi, tagliando fuori l’individuo proprio dalla possibilità di utilizzare strategie adeguate ai contesti in cui si trova a vivere.

Il disagio mentale può essere letto come l’esito di selezioni estremamente rigide, regolate dai modelli operativi interni (MOI), degli elementi di realtà da elaborare, le quali, in età infantile, avevano come scopo l’esclusione difensiva di tutte quelle informazioni che avrebbero portato a prendere contatto con il proprio bisogno di essere confortato e amato. Inoltre le psicopatologie possono essere interpretate come l’esito di funzionamenti anomali di quei processi cognitivi incosci che avevano un senso nelle prime fasi di sviluppo nel mantenere il contatto con la propria figura di accudimento. Nella loro eventuale “bizzaria” esse avevano ragione d’essere nel maternage di cui si faceva esperienza.

Disregolazioni precoci del sistema affettivo-emotivo potrebbero, tra l’altro, avere conseguenze a lungo termine sull’organizzazione neurologica dell’individuo ed è stato ipotizzato che distorsioni gravi e devastanti nelle prime relazioni di attaccamento, ed in particolare in quei legami che, in quanto basati sull’abuso e sulla forte trascuratezza sono associati a pattern disorganizzati, sono in grado di compromettere, nell’emisfero cerebrale destro, le funzioni regolatrici dello stress e del coping e produrre quindi, disturbi mentali sia in età infantile che in età adulta. L’essere esposto a una mancanza di protezione, o a ricevere minacce invece di conforto, ponendosi come condizione di stress cronico, provocherebbero danni cerebrali, in particolare all’ippocampo ed ai circuiti neuronali responsabili della memoria e dell’apprendimento. (Attili, 2007)

 


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