Rapporti di coppia

Benchè già Bowlby (1969) avesse ipotizzato che le relazioni di attaccamento nell’infanzia fossero simili, nella loro natura, alle relazioni sentimentali della vita adulta e che esse costituiscono il prototipo di tutte le relazioni d’amore, lo studio dei legami di coppia come legami di attaccamento ha data relativamente recente.

Dalle osservazioni sulle risposte degli individui all’interno delle relazioni di coppia emerge che esse sono simili a quelle osservate in età infantile all’interno delle relazioni con la figura di accudimento.

Gli indicatori del vero amore

Provate a chiedervi:

1) Con chi mi piace passare il mio tempo e a chi mi piace essere vicino?

2) A chi mi rivolgo quando sono turbato, ho un problema o non mi sento bene?

3) Chi non sopporto che mi stia lontano o mi manca molto quando non c’è?

4) Su chi sento di poter contare sempre e so che farebbe tutto il possibile per me?

È colui o colei che indicate in risposta a tutte e quattro queste domande, la persona sulla quale convengono questi quattro aspetti della vostra emotività, quella cui siete legati.

Gli psicologi che studiano l’attaccamento, infatti, con le loro ricerche, hanno potuto mostrare empiricamente che quando si è legati sentimentalmente, il rapporto è caratterizzato da queste quattro componenti (effetto mantenimento del contatto, l’effetto rifugio sicuro, effetto ansia da separazione, effetto base sicura). Queste dimensioni si susseguono le une alle altre nelle varie fasi della formazione dei legami sentimentali. Un desiderio forte di vicinanza e contatto caratterizza infatti le fasi iniziali di una relazione. Fornire supporto reciproco diviene importante nelle fasi successive, l’ansia e l’angoscia da separazione sono gli indicatori che il legame di attaccamento si è completamento formato.

Può accadere che persone diverse soddisfino i criteri sopra citati. Questo dipende dall’età e dalla fase in cui si trova il rapporto.

Differenze tra relazione di attaccamento nell’infanzia e nella coppia

Naturalmente le differenze tra l’attaccamento tra adulti e quello tra genitore e bambino sono molteplici:

  • La relazione madre-bambino è “complementare”: è la madre colei che accudisce e protegge, è in lei che si attiva il sistema di accudimento. Il figlio è colui che chiede cure e protezione a seguito dell’attivazione del sistema dell’attaccamento (il “role-reversing” ossia l’inversione di ruolo, quando è il figlio a prendersi cura del genitore è un fattore di rischio considerevole per lo sviluppo di psicopatologia nell’età adulta).

 La relazione tra due partner è “flessibilmente reciproca”: entrambi i partner devono essere pronti a coprire l’un ruolo e l’altro, a secondo dei bisogni fisici ed emotivi di ciascuno e ad agire, a seconda delle circostanze, come colui che offre protezione e conforto, o come colui che ha bisogno di essere confortato. Quando i ruoli diventano fissi, quando per esempio è sempre un partner che si sente costretto o a cui viene richiesto sempre un comportamento di accudimento e l’altro è stigmatizzato nel ruolo di chi deve essere sempre e solo protetto, la relazione può diventare patogena o patologica.

  • La relazione tra due partner è caratterizzata dall’attrazione sessuale: le emozioni e i comportamenti saranno regolati, non solo dall’attivazione del sistema dell’accudimento e del sistema di attaccamento, ma anche dall’attivazione del sistema sessuale.

La funzione biologica dell’attaccamento di coppia

Dal punto di vista evoluzionistico, l’attaccamento di coppia non ha solo la funzione di fornire protezione reciproca ai due partner ma, essenzialmente, quello di tenere legati due adulti che insieme possono essere dei buoni genitori e raggiungere così lo scopo degli individui di tutti le specie e cioè la propagazione delle proprie caratteristiche alla progenie, il successo riproduttivo. L’attaccamento di coppia fa sì che due adulti si prendono cura insieme del proprio figlio e che raggiungono in tal modo il loro successo riproduttivo.

L’amore e la sessualità quindi si sono evoluti allo scopo di ottenere successo riproduttivo, vediamo come:

  • Nel momento in cui la nostra specie ha raggiunto la posizione eretta, il canale vaginale della donna si è ristretto, in modo tale da non consentire l’espulsione di un bambino con una grande testa ed un cervello già sviluppato. Una prole vulnerabile e immatura non poteva essere allevata dalla sola madre. La gravidanza e l’allattamento rendono la donna debole e non in grado di provvedere da sola al sostentamento del proprio piccolo. Era ed è necessario un investimento parentale, un impegno in termini di accudimento anche da parte del padre, per il tempo necessario al raggiungimento da parte dei figli di una loro autonomia (12-13 anni circa).
  • Se confrontiamo la fisiologia riproduttiva umana con quella di altri mammiferi, appare peculiare come nella donna non ci siano segnali esterni che indicano il periodo fecondo. Nella specie umana gli uomini sono come “costretti” a rimanere con la stessa femmina e ad accoppiarsi con lei di frequente, se vogliono lasciare progenie, in quanto non possono sapere quando la fecondazione è possibile. Inoltre, attraverso rapporti sessuali frequenti un uomo evita in rischio che altri uomini abbiano accesso alla sua partner, ritrovandosi, di conseguenza, ad allevare figli portatori di un patrimonio genetico non suo.
  • La lunghezza media del pene umano in erezione è di 13 cm, mentre quella di pene di un gorilla, per esempio, è di 3 cm. Queste dimensioni permettono una grande varietà di posizioni, che incrementano la possibilità per una donna di raggiungere l’orgasmo e aumentano, in essa, la disponibilità a una frequente attività sessuale, rafforzando così il legame con il proprio compagno (Short, 1979). Le dimensione del pene maschile facilita, inoltre, la posizione ventre-ventrale, faccia a faccia, la quale per la possibilità di mantenere il contatto dello sguardo si pone come molto intima e in grado di favorire un legame sentimentale. 

La scelta del partner e relazioni sentimentali infelici

L’effetto familiarità: l’essere umano, come i volatili, è portato a scegliere qualcuno che somigli ai propri fratelli, alle propri sorelle, ai compagni di giochi della propria infanzia. Cerchiamo, in altri termini, senza rendercene conto, qualcuno che ci sia familiare. La nostra mente fa sì che le persone che percepiamo come familiari vengano automaticamente viste come più gradevoli. Avere la sensazione che ci sia una conoscenza pregressa, anche se non si è consapevoli, fa sì, per di più, che quella persona ci sembri più prevedibile nei suoi comportamenti e nelle sue reazioni e quindi, essa si pone, ai nostri occhi, come più rassicurante.

L’effetto somiglianza: le persone familiari, inoltre, vengono percepiti come più simili a noi stessi. E quasi per un bisticcio di concetti, scegliamo partner che sono simili a noi, e quindi dotati di caratteristiche che è nostro interesse promuovere (il potere della spinta ad avere successo riproduttivo!). A far da attrattiva, comunque, non è solo la somiglianza nell’aspetto, ma quella relativa a numerose altre dimensioni, che vanno dall’attrattiva fisica allo stato socio-economico, la classe sociale, il livello culturale. L’essere simili porta, del resto, ad avere gli stessi interessi, a frequentare le stesse cerchie sociali, e questo aumenta il senso di familiarità.

L’effetto sensibilità: nel caso si selezioni un qualcuno per una relazione che non sia un rapporto rapido e saltuario, la precedenza viene data a partner potenziali che si mostrino premurosi, che siano sensibili ai bisogni affettivi, che si mostrino in grado di prendersi cura dell’altro. E’ questo valore ad avere un effetto sulla stessa attrazione sessuale e a fare dell’altro un partner potenzialmente duraturo.

Questi “effetti” motivano in parte la scelta del partner ma non si tratta solo di “effetti”. I risultati delle ricerche sull’attaccamento di coppia sembrano provare che i modelli operativi interni (MOI) (rimando a modelli operativi interni del paragrafo la relazione di attaccamento) siano tendenzialmente non suscettibili di modifiche, così che le prime relazioni madre-bambino sono considerate il prototipo di tutte le successive relazioni d’amore. Così si sceglie come partner qualcuno che confermi le opinioni che si ha su sé stessi e sugli altri. Quanto più i due partner confermano l’uno i modelli operativi dell’altro tanto più il legame è duraturo.

Attili (2004) suggerisce che la tenuta di relazioni infelici, al di là di quanto accade ove si verifichi un incrocio collusivo tra i due partner, potrebbe anche essere ricondotta a quello stesso meccanismo che mantiene legato un bambino alla madre che lo maltratta o lo spaventa: quando si ha un legame non soddisfacente è probabile che si entri in conflitto, che ci si senta soli, rifiutati e minacciati nella sicurezza affettiva. Queste sensazioni portano all’attivazione del sistema dell’attaccamento e al bisogno di ricevere conforto dalla figura di attaccamento (l’unica che ha il potere di placare l’ansia) la quale è proprio la persona che provoca dolore. Si crea quindi un circuito per cui quanto più una relazione non funziona tanto più si rimane attaccati a quel partner.

 

Tratto interamente da:

G. Attili, Attaccamento e Amore, Il Mulino 2004.

G. Attili, Attaccamento e costruzione evoluzionistica della mente. Normalità, patologia, terapia, Cortina Raffaello 2007.

 


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